Domenica - Una giornata interminabile

di Andrea Saviano

Parte dell'antologia Pioggia d'inchiostro

Tutti i colori dei bambini, Andrea Saviano


Notoriamente la domenica è una giornata o troppo breve o interminabile, non esistono vie di mezzo.

Io l'aspetto per tutta la settimana, ma poi finisce spesso per rivelarsi ben al di sotto delle mie aspettative e si trasforma nel prolungarsi di una noia mortale in cui nulla accade. Forse ormai mi sono talmente abituata a correre, sempre intrappolata in ritmi frenetici, che non appena mi trovo alle prese con una giornata di ozio totale finisco per confondere lo stacco dallo stress del lavoro con la noia.

Sebbene non avessi puntato la sveglia, mi sono alzata all'alba. È l'abitudine. Inutile tentare di dormire più del solito, finirei solo per innervosirmi rigirandomi nel letto.

Così, è da stamattina che gironzolo per casa cercando qualcosa che mi occupi il tempo e, più che ogni altra cosa, la mente. Cerco di non pensare, se mai la cosa fosse possibile.

Forse smettere di pensare è difficile, ma evitare accuratamente di rimuginare il passato credo sia una cosa fattibile. L'obiettivo di questa come d'ogni domenica è semplice: non fissare i miei pensieri su lui, perché un attimo dopo mi ritroverei a sognarne il viso, alimentando così un desiderio divenuto impossibile.

Cerco di non ricordare quelle mani che mi cercavano continuamente, giocando con il mio desiderio e, al contempo, con la mia timidezza.

Siamo allo stesso tempo carne e spirito, ragione e sentimento. Siamo simili all'astro e al satellite che in un magico cosmico equilibrio si fuggono e s'attraggono senza conoscere alcunché della matematica e della legge della gravitazione universale.

Le cose accadono e basta, non tanto senza un vera causa, ma semplicemente senza che ci si debba per forza chiedere sempre perché.

Voglio fuggire i ricordi e invece finisco per ripercorrere con la mente tutti quei meravigliosi istanti di vita vissuta, tutte quelle giornate trascorse a passeggiare mano nella mano come fossimo due ragazzini innamorati al loro primo incontro e non due adulti con la paura di crescere.

Certo, affrontare le avversità continuando a tenersi per mano, quello sarebbe stato da adulti...

Adesso che, invece, siamo solo due miseri e incattiviti ex le nostre mani non si aprono per accarezzare, ma si stringono per maledire e persino le cose che erano state dolci ora sono diventate amare.

Combatto contro il destino, contro di lui, ma soprattutto contro il desiderio di rivivere ogni momento di quelle poche ore che il destino ci ha regalato. Ne traggo sofferenza, ma contemporaneamente sento il bisogno di fissare nella mia anima ogni secondo di quell'amore folle, di quella passione travolgente che ci ha unito e che voglio credere fosse vera.

Le stesse braccia che si stringevano a lui, ora si stringono a me. Mi abbraccio e mi faccio compagnia da sola.

Penso al caldo di quest'estate e alla gente al mare. Penso al caldo della scorsa estate e di lui e me al mare.

Mi accoccolo sul divano, in un angolo di penombra quasi per fuggire da questa domenica assolata. Lascio che la mia mente ripercorra i momenti più belli di quella vita insieme.

Sembra ieri e, in fondo, non è passato troppo tempo da quel giorno di qualche settimana fa, in un luogo che c'era già familiare. Già! Una goccia in un deserto che da tempo s'era inaridito, ma una giornata di quelle che ti segnano per la vita.

Sospiro e penso alle strade che abbiamo percorso insieme, stando discosti uno dall'altra. Strade che in precedenza avevamo già percorso, ma mano nella mano.

Ripenso alle vetrine davanti alle quali abbiamo stazionato, osservando la nostra immagine riflessa, che non era più quella di due amanti abbracciati, ma di due sconosciuti.

Penso al tavolino del bar dove andavamo spesso a fare merenda, gli occhi persi nei nostri sguardi, senza desiderare che esistesse nient'altro se non noi. Rammento, provando ancora qualche brivido, il suo sorriso e il desiderio d'appartenergli che mi scatenava.

So che non dovrei farlo, perché il dolore potrebbe essere simile a quello di una fitta, ma alla fine ripenso ad una piccola camera dove, dopo esserci conosciuti e innamorati, potemmo finalmente chiudere fuori il mondo.

Un piccolo edificio dalle pareti rosa che, ogni volta che l'ho rivisto, mi ha narrato sempre la stessa, dolce favola di quel giorno.

Sdraiata sul divano in sala, chiudo gli occhi per assaporare completamente il momento in cui, ridendo, lui m'aveva gettato un po' brusco e un po' delicatamente su quel letto. Non è passato nemmeno un mese da quel giorno!

Senza fiato gli restituii il sorriso, dicendogli quanto fosse ancora importante per me, quanto lo desiderassi, quanto la magia di quella piccola camera si fosse, finalmente, in quel singolo istante avverata di nuovo.

Mi sembra di sentire ancora sulla bocca il calore delle sue labbra, il suo inconfondibile sapore di pane rappreso; avverto ancora la voglia di stringerlo a me, di essere accoccolata tra le sue braccia, di sentire il suo corpo addosso al mio, la sua pelle contro la mia.

Ricordo come fosse adesso il momento mentre le sue mani frementi cercavano di scoprire l'intensità del mio desiderio.

Avvampo di vergogna, ma sento viva e piena la voglia d'essere ancora, sempre e solo sua.

Rivivo appieno l'attesa d'essere nuda davanti a lui, di sentire le sue mani intrufolarsi tra la mia biancheria fino a liberarmi d'ogni impedimento.

Vedo il suo sguardo posarsi su di me, entrarmi dentro.

Avverto quasi la sua mano stringersi forte sul mio seno quasi come se la lontananza e il dolore non avessero minimamente scalfito cosa io sia per lui.

Anche adesso, da sola su un divano, mi sento pronta, come lo ero in quella stanza che a lungo abbiamo chiamato la nostra camera da letto.

Sento la mia pelle bruciare dal desiderio, il mio corpo si contorce negli spasimi di una voglia che non può essere soddisfatta.

Chiudo gli occhi e nel ricordo della mia memoria fremo di quegli ultimi istanti insieme.

Insisto in questo ricordo, quasi a punirmi per il desiderio tanto sbagliato quanto irrefrenabile che sento ancora crescere dentro di me.

Devo fermarmi. Voglio soffrire! Ripenso a quando mi ha detto che non era più mio, che c'era un'altra.

Gli occhi chiusi mi proiettano il suo viso che affonda tra le mie mani, mentre gli chiedo un ultimo bacio appassionato.

Mi gira la testa. Immagini e sensazioni si confondo in una danza di piacere.

Sono con lui e lui è in me, voglio soffrire ancora un po', rivivere quel dolcissimo tormento che è l'attesa dell'orgasmo.

Il dolore invece di spegnere in me il desiderio, lo riaccende ancora più forte e lo fa diventare quasi incontenibile. Richiudo gli occhi, mi rituffo nei ricordi.

Mi dico è un sogno. Mi ripeto è stato solo un sogno!

Riapro gli occhi. So che non c'è, ma so anche che in qualche modo, seppur distante col corpo e con la mente, avverte ancora il mio desiderio, la mia voglia di appartenergli ancora e per sempre.

So che tutto ciò mi rende debole, ma so che rende debole anche lui, che ormai è di un'altra.

Lo amo. Lo amo da spezzare il fiato. Lo amo sopra ogni cosa, anche me stessa.

Squilla il telefono e riemergo dai miei vaneggiamenti. Chissà perché, so già che non è lui.